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16/10/2016
Racconti di viaggio: Australia, il Top End da Broome a Cairns
Il Kimberley
Appena arrivati a Broome si percepisce quello che è uno dei punti di forza dell’Australia: la coesistenza tra la tranquillità di essere in un paese moderno, con tutte le infrastrutture del caso, e una natura che offre ancora grandissimi spazi incontaminati, orizzonti sconfinati e una presenza umana ridotta ai minimi termini. Per noi 5 giovani sorvolatori il controllo doganale è lo specchio della cordialità ed efficienza di questa gente: i doganieri ci ribaltano come un calzino, ma a differenza di situazioni analoghe negli Stati Uniti, dove ti senti considerato alla stregua di un criminale, qui il sorriso e la cortesia è sempre presente, pur non tralasciando un minimo dettaglio.

La sera a Broome è per me un po’ un ritorno a casa, per il ricordo dei tanti tour che ho iniziato o finito da queste parti sin dalla fine degli anni novanta. Così il tramonto su Cable Beach è sempre un avvenimento a cui partecipare, sia per la gente del posto sia per i turisti: con la bassa marea la spiaggia supera i cento metri di profondità, la lunghezza i venti chilometri, e lì ci si siede per ammirare il tramonto del sole dietro l’Oceano Indiano.
Da Broome siamo pronti ad attraversare il nord dell’Australia, quindi a passare in Papua Nuova Guinea per poi finire alle Isole Salomone.

Le prime due tappe toccano due piccoli gioielli lungo la costa del Kimberley, ultima vera frontiera australiana. Con circa 40’ di volo, che sostituiscono circa 3 ore di strada tra asfalto e pista sterrata dal tipico terreno rosso intenso, raggiungiamo Cape Leveque. Qui il lusso non è certo nella sistemazione, comunque confortevole negli chalet tendati che guardano la baia protetta a nord, ma nella bellezza paesaggistica: da un lato una lunga scogliera si infuoca di rosso al tramonto, dall’altro una baia protetta con sabbia fine e acqua turchese offre a ognuno almeno 50 metri di spiaggia in esclusiva.

Da Cape Leveque voliamo sopra l’Arcipelago dei Bucanieri, o delle Mille Isole, e rimaniamo incantati dalla bellezza selvaggia e dura di questa costa, fatta appunto di una miriade di isolotti di varie dimensioni e da una linea frastagliata, bordata da vere foreste di mangrovie e con banchi di sabbia che si palesano con la bassa marea. Ci sforziamo di scoprire i segni della presenza umana ma è praticamente impossibile, fatti salvi un paio di insediamenti per la coltivazione delle perle e qualche yacht solitario. Questa è davvero una costa vergine!
La seguiamo e raggiungiamo dall’altra parte del Kimberley l'altro piccolo gioiello: il Berkeley River Lodge, dove cambiano gli ingredienti ma il risultato è lo stesso, ovvero il godimento di un luogo remoto circondati da una natura incontaminata.
Qui si arriva solo in volo o via mare, non esistono strade.




La struttura è sicuramente più di lussuosa di quella di Cape Leveque, con una serie di bungalow con tutti i comfort, che guardano verso il fiume o verso il mare. Mare dove è meglio non bagnarsi, per evitare l’incontro con i grossi coccodrilli estuarini; rivolgiamo allora l’attenzione al fiume Berkeley, che navighiamo per scoprirne le suggestive gole.
Berkeley è un posto straordinario, in cui ci si sente davvero privilegiati perchè dà accesso, magari con escursioni in elicottero, agli angoli più incontaminati di questa parte di pianeta. Il tema qui è l'essere arrivati dove pochissimi hanno il privilegio di arrivare.
La gita in elicottero, seppur a mio giudizio molto cara, non manca di regalarci grandi suggestioni; abbiamo scelto la visita di antiche pitture rupestri aborigene, inclusa una sosta rinfrescante in una piscina naturale. L’elicottero, devo ammetterlo, regala quell'imbattibile sensazione di volo libero, potendo raggiungere ogni angolo della nostra terra senza essere legato a piste di atterraggio. Lo “parcheggiamo” in uno spazio di poco superiore alle dimensioni stesse dell’elicottero, circondati da pilastri irregolari di arenaria e piante, per inoltrarci in un paesaggio da Indiana Jones alla scoperta delle antichissime pitture aborigene. Da qui, all’interno dello stretto e tortuoso canyon percorriamo il corso del fiume King George fino a sbucare sull’oceano.



Lungo la costa procediamo lenti e bassa quota: la cavalcata ci regala decine e decine di avvistamenti di tartarughe, squali e persino di un dugongo! Mentre ci avviciniamo a mucche ormai selvatiche, ci accorgiamo della presenza di un coccodrillo enorme. Sospesi nell’aria a forse 10 metri da lui, lo osserviamo mentre disorientato non sa che cosa fare.
Infine, ci troviamo con l’elicottero parcheggiato su una piattaforma di roccia, che durante la stagione delle piogge deve essere la cima di una cascata, a fare il bagno in una pozza naturale dalle acque cristalline.

Dalla costa del Kimberley ci spostiamo per raggiungere quella che personalmente trovo essere una delle bizzarrie geologiche più uniche al mondo: le Bungle Bungles, foreste di enormi panettoni di arenaria alti un paio di centinaia di metri, che prima sorvoliamo con le luci del tardo pomeriggio e poi andiamo a scoprire da terra. Il campo fisso dove dormiamo ha delle semplici ma funzionali e pulite cabins con bagni privati.
Unica segnalazione d’obbligo per chi voglia visitare questo splendido piccolo parco è il caldo, con temperature che, superando tranquillamente i 37°C anche a causa delle rocce che ci sparano addosso tutto il calore che possono, si fanno decisamente sentire, soprattutto durante le passeggiate.
Il percorso dentro alcune gole è, tuttavia, davvero suggestivo. Potendo scegliere, meglio visitare il parco tra inizio giugno e metà luglio, per poter avere una temperatura un attimo più accettabile. Dalle Bungle Bungles ripassiamo sopra il lago artificiale di Argyle, sempre suggestivo ma di cui non è possibile non notare quanto si sia abbassato negli ultimi 15 anni… davvero impressionante.
 



Arnhemland
Lasciato il Kimberley alle spalle proseguiamo alla volta di Darwin, per riprendere solo per un attimo contatto con la civiltà e rigettarci subito nel cuore della natura australiana per scoprire i segni lasciati da un’antichissima cultura.
Da Darwin sorvoliamo la costa in direzione est passando sopra i grandi fiumi che scendono dall’altopiano centrale dell’Arnhemland, l’Adelaide River e i tre Alligator River, con i loro corsi particolarmente tortuosi. Meno di un’ora e raggiungiamo Mount Borradaile.

Ancora una volta, gli australiani si dimostrano persone concrete: in questi luoghi non si viene per trovare il lusso, ma per godere dell’unicità dei luoghi. Il campo è sicuramente cambiato da quando ci venivo a fine anni novanta: ora le tende sono state sostituite da chalet su palafitte con bagni privati e, per fortuna, con il ventilatore; il corpo centrale è spazioso e accogliente. Certo, non di lusso ma comodo quanto basta per accoglierci.
Una cosa non è cambiata, il caldo. Un po’ lungo tutto il Nord Australia questo è il denominatore comune: il caldo, che più o meno umido, ci avvolge.

A Mount Borradaile trascorriamo due giorni per esplorare probabilmente le più belle pitture rupestri aborigene che si possano vedere in Australia. In questi vastissimi pianori ricoperti da boschi di eucaliptus, ogni qualvolta la pianura lascia spazio a formazioni di arenaria più o meno grandi è probabile incontrare segni sulla roccia, dai più essenziali e antichi fatti di semplici frustate color ocra realizzate con l’erba, ai più recenti, composti da immagini elaborate di animali e figure mitologiche. Ci sembra di essere davanti a un vero e propri libri di storia, o forse più semplicemente a giornali su roccia che raccontano istantanee della vita quotidiana degli aborigeni che qui hanno vissuto per millenni. Li scopriamo quasi impercettibili su rocce esposte agli agenti naturali, li troviamo meglio conservati in grotte e caverne.
Nel pomeriggio andiamo a navigare tranquilli lungo i piani allagati che costeggiano l'area, per immergerci in una natura esuberante fatta di decine di specie di uccelli acquatici che qui vivono in migliaia di esemplari, coccodrilli estuarini e grandi spazi nei quali goderci il tramonto.

Da Mount Borradaile ritroviamo la costa e riprendiamo a seguirla con prua verso est. Sotto di noi i fiumi continuano a disegnare forme sinuose, serpenti d’acqua bruna che tagliano pianure di fango secco bianco dove le ramificazioni laterali orlate dal verde delle mangrovie sembrano veri pizzi e merletti naturali. I colori si susseguono e si mescolano, spiccano il grigio chiaro del fango, il rosso della terra, il verde delle mangrovie e il turchese pallido e lattiginoso del mare costiero.
Raggiungiamo Gove, piccola enclave moderna in terra aborigena che deve la propria ragion d’essere alla miniera a cielo aperto di bauxite. Viste dall’aria, in realtà, le cicatrici rosso vive dei punti di raschiamento del suolo sono meno evidenti di quanto uno si possa aspettare per una miniera di queste dimensioni: il motivo sta nell’attento lavoro svolto per minimizzare l’impatto ambientale, fatto di un accurato e quasi immediato rimboschimento a mano a mano che il terreno viene raschiato in superficie.

Devo dire che dall’ultima volta che vi ero stato dieci anni fa, il paese è cambiato moltissimo. La popolazione è praticamente ridotta a un terzo, a causa del fatto che se ora ci si limita a estrarre la bauxite e a spedirla grezza, un tempo qui avveniva anche la fase di trasformazione in allumina. Il processo richiede moltissima energia elettrica e alla lunga è risultato troppo costoso per un luogo dove va prodotta sul posto con generatori diesel.
Seppur rimanga per noi una tappa tecnica per spezzare l’altrimenti lunghissimo trasferimento fino alla barriera corallina, vale sicuramente la sosta una visita al centro artistico e culturale di Yrrkala: nel grande magazzino con esposti alcuni esempi di pittura aborigena su tronchi o corteccia, dal tradizionale al più moderno, si trovano pezzi che potrebbero benissimo stare in gallerie d'arte a New York o Parigi. L’hotel Walkabout è rimasto invece purtroppo lo stesso di sempre, stanco e trasandato. Ma qui non c’è alternativa.




Grande Barriera Corallina Australiana
Lasciando Gove alle nostre spalle iniziamo con le traversate sul mare che ci porteranno lentamente fino a Tahiti.
Oggi sorvoliamo il grande golfo di Carpentaria, un grande specchio di mare che separa l’Arnhemland dei Territori del Nord dalla penisola di Capo York in Queensland.
Non facciamo a tempo a superare del tutto la penisola, raggiungendo la costa orientale, che già dall’altro lato ci appare uno degli spettacoli che più caratterizzano questa nostra traversata dell’Oceania: all’orizzonte compaiono evidenti i primi banchi di quella che è la più grande ed estesa barriera corallina del mondo, la Grande Barriera Corallina Australiana.

Scendiamo rapidamente di quota per ammirarla e riempire gli occhi di questo straordinario spettacolo della natura.
Dal profondo blu, sul bordo della placca continentale australiana, risalgono fin quasi in superfice banchi e atolli corallini, organizzati in un filare più o meno ordinato che segue a distanza l’andamento della costa. Lo spettacolo è affascinante. Lagune acquamarina che a tratti virano verso un turchese intenso sono bordate dal grigio della barriera corallina o dall’occasionale banco di sabbia, prima di lasciare il posto al blu cobalto dell’oceano più profondo.
In alcuni banchi il turchese o l’acquamarina sono punteggiati da macchie scure, piccole formazioni coralline isolate che, viste dall’aria, li trasformano in vere e proprie pelli di leopardo, incredibili e magnifiche.
Ci abbassiamo molto di quota e con un po’ di fortuna riusciamo a scorgere l’occasionale manta, gli squali di barriera e le testuggini di mare, che con le loro sagome scure si palesano sullo sfondo chiaro dell'acqua. È uno spettacolo di cui non riusciamo a stancarci, interrotto solo dal raggiungimento della nostra “casa”nel cuore della barriera corallina.

Atterrati su un isolotto grande quel giusto che basta per ospitare la pista di atterraggio, troviamo i nostri ospiti di casa.
Il tempo di percorrere a piedi la lunghezza della pista, mentre i nostri bagagli transitano a bordo di un vecchio trattore, e siamo al pontile dove ci aspetta il motoscafo che ci porterà sull’altra isola dove saremo ospiti.
E' impossibile non notare subito gli squali di barriera che navigano interessati intorno alla barca, in attesa di qualche scarto del pesce appena pescato.

Eccoci a Haggerstone Island, un punto verde nel cuore del mare turchese con una spiaggia corallina bianchissima e un lodge che pare più la casa di Robinson Crusoe, con annessi 4 bungalows per gli ospiti. Il corpo centrale in legno è molto caldo e accogliente, e mostra i tipici “frammenti di mare”, dalle tridacne giganti ai galleggianti in vetro soffiato fino a una pelle di coccodrillo dalle dimensioni ragguardevoli, utilizzata come tappeto. I bungalow sono molto spaziosi e aperti, con atmosfera da classico lusso a piedi scalzi, anche se non quello formale che si cerca quando si viene su un’isola come questa.
Vicino a noi, su due diversi lati dell’isola e a pochissime bracciate dalla spiaggia, due lagune danno la possibilità di togliersi la soddisfazione di uno snorkeling non spettacolare per visibilità, ma ben sopra la sufficienza: in circa 40 minuti di nuotata ho avuto la fortuna di contare ben 10 tartarughe marine, proprio davanti al mio bungalow!

Degna di nota è la cucina, rigorosamente di mare visto che si mangia quello che si è pescato durante la giornata; in più, da queste parti si pescano con una certa facilità anche ottime aragoste! La famiglia che qui ha deciso di vivere ha in ogni suo membro, è inutile dirlo, un pozzo di esperienza del mare che la circonda; le giornate trascorrono all’insegna del relax e delle escursioni in barca, per pescare, fare snorkeling intorno a isole vicine o su banchi corallini più remoti, o per andare a esplorare le dune costiere sulla terraferma e l’estuario del fiume che le taglia.
È ora di ripartire.
La pista è corta per cui il carburante limitato non ci consente un altro grande volo scenico; tiriamo dritti per Horn Island, sulla punta della penisola di Capo York, dove facciamo dogana in uscita dall’Australia.