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07/12/2022
Mongolia, la terra dei nomadi guerrieri
La casa dei mongoli, la yurta o gher
Da millenni gruppi mongoli si spostano lungo le estese aree dell’Asia centrale adattandosi alle condizioni del clima continentale delle steppe. L’ambiente, poco adatto allo sviluppo dell’agricoltura, ha condizionato per secoli le abitudini di una popolazione nomade dedita alla caccia e all’allevamento di cavalli, cammelli, buoi e pecore. La transumanza periodica dei pastori ha favorito lo sviluppo di un modello abitativo di facile realizzazione, composto da pochi elementi di facile montaggio e smontaggio.
 
La cellula abitativa per queste persone è un particolare modello di tenda circolare chiamata yurta (gher in mongolo): una casa mobile facilmente trasportabile. La necessità di spostarsi continuamente per seguire le mandrie ha rafforzato, nella visione filosofica mongola, l’idea di una tenda circolare, che riflette l’essenza spirituale ed estetica di un popolo nomade, che cerca di rispettare l’interesse dei vicini oltre che il proprio, facendo attenzione alle divisioni equilibrate del territorio da utilizzare.
 
Il cerchio è la forma più elementare di delimitazione dello spazio. Attorno ad un cerchio è facile immaginarne altri, a distanza modulare l’uno dall’altro, con al centro la Gher del capo anziano. Come le api costruiscono il proprio alveare, così le popolazioni di pastori nomadi si spartivano il territorio mantenendo per ogni gruppo la quantità di superficie necessaria al sostentamento della propria economia: un microcosmo circolare, centro della vita famigliare e nucleo generatore di un macrocosmo economico, limitato a quell’area.
 
La Gher, con il suo profilo cilindro-conico, è una delle strutture abitative più straordinarie che un popolo di pastori nomadi abbia mai realizzato: un ambiente accogliente che non viene modificato nei diversi periodi dell’anno, nonostante il clima della Mongolia sia soggetto a variazioni notevoli tra la stagione estiva e quella invernale. La sua struttura riesce a far fronte agli sbalzi termici e ai cambi climatici solo con il variare dello spessore dei rivestimenti posti l’uno sull’altro: una leggera copertura di stuoie costituisce la prima parete che, con l’abbassarsi della temperatura esterna, viene via via inspessita da strati sovrapposti di feltro.
 
La parete di sostegno, di forma cilindrica, è costituita da un graticcio a moduli romboidali in legno di salice, adatto per la sua leggerezza e resistenza; i pali vengono sezionati a metà longitudinalmente e legati tra loro nei punti di congiunzione, in modo tale da consentire alla struttura di piegarsi a fisarmonica per diminuirne l’ingombro durante il trasporto. Nell’erigere questa struttura, corrispondente all’anello perimetrale della casa, si fissano i due lati estremi del graticcio al telaio della porta che si solito guarda a mezzogiorno.
 
La portanza complessiva dell’intera parete viene aumentata con l’ausilio di grandi cinture, che possono essere semplici o decorate e che vengono sistemate nel bordo superiore del graticcio in modo da far convergere l’intera struttura leggermente verso l’interno.
 
Sistemare il tetto è l’operazione più difficile: dall’anello superiore della parete ad ogni vertice dei rombi del graticcio vengono strettamente legati dei pali incurvati ed appuntiti (uni) che, a raggiera, vengono fatti convergere su un apposito anello sommitale che ha tanti fori quanti sono i pali da infiggere.
 
Il cerchio sommitale e la struttura convergente su di esso acquisiscono un simbolismo cosmico: rappresentano infatti il sole e i suoi raggi. Nella tradizione popolare si raccomanda di non lasciare mai scoperto il foro sommitale (toono) durante la notte, perché potrebbero entrare gli spiriti del male.
Ultimata la struttura portante del tetto si rivestono le pareti interne con le stuoie e quelle esterne con larghi panni di feltro. Questo materiale è strettamente legato alla storia della Gher, si tratta di un panno morbido e resistente ottenuto mediante l’operazione di follatura della lana: una tecnica molto antica che secondo Plinio, avrebbe preceduto quella delle stoffe tessute.
 
Solo dopo aver ultimato le pareti si pensa alla sistemazione del pavimento, che viene ripulito e quindi spianato; poi si provvede ad isolarlo dall’umidità con uno strato di foglie. Al centro viene sistemato il focolare quadrato in corrispondenza dell’apertura circolare del tetto, che durante il giorno è aperta per far uscire il fumo. Il focolare ha anche un valore simbolico: è infatti il centro della vita famigliare, il "quadrato del mondo" iscritto in uno spazio circolare, un simbolo cosmologico di grande importanza nella spiritualità di queste persone che considerano il tetto della loro casa come la volta celeste da cui filtrano i raggi solari.
 
All’interno della Gher ogni oggetto e ogni persona hanno una precisa collocazione: l’altare reliquiario con le immagini degli antenati è situato sulla traiettoria del focolare, diametralmente opposto alla porta; a sinistra dell’altare vi è il posto d’onore, a destra lo spazio riservato alla coppia anziana, ai bambini e agli ospiti importanti, al centro a sinistra del focolare quello per gli uomini, a sinistra quello per le donne, più avanti verso l’uscio, a sinistra, vi è lo spazio per gli ospiti maschili e a destra per quelli femminili. Tutti gli oggetti di uso quotidiano, dal vestiario alle armi, dalle suppellettili alle coperte trovano posto lungo le pareti.

L’interno della Gher è ravvivato dalla presenza di motivi geometrici colorati che riproducono simboli tradizionali della famiglia o del clan di appartenenza, elementi in netto contrasto con il bianco dominante del feltro della volta.
 
Il concetto di direzione è importante per chi si sposta e guida le mandrie in un paesaggio che apparentemente non presenta punti di riferimento. La Gher viene sempre piantata con l’ingresso (khhalga) a sud, che ha un ruolo fondamentale per i Mongoli che usano orientarsi prendendo come punto fisso un soggetto immaginario rivolto a mezzogiorno.

Il Naadam
Naadam significa divertimento, festeggiamento. L’accezione più comune del termine indica die giochi organizzati in occasione di diverse ricorrenze.
 
I veri naadam erano celebrazioni collegate a giorni importanti per il calendario dei mandriani. Secondo le usanze erano anche un supplemento alle offerte sciamaniche fatte agli spiriti. Dopo i rituali ovoo e per far piacere al signore del luogo, si svolgevano gare di tiro con l’arco, di lotta libera, corse e addestramento di cavalli, danze e canti. Era, allo stesso tempo, un modo per manifestare la gioia per il dono della fecondità e della capacità di resistere.
 
In seguito i giochi maschili divennero una questione di prestigio, come i tornei nell’Europa medievale. I combattenti mostravano le loro tecniche di guerra innanzi al principe e a tutto il popolo. Per i nomadi i giochi rappresentavano un’occasione di addestramento non solo per la caccia e il lavoro, ma anche per la guerra. Nel XIV secolo i naadam si trasformarono da celebrazioni originariamente locali in festività a livello nazionale per onorare gli dei e i loro protetti – i capi e i khan prescelti.
 
Nel 1772 l’organizzazione dei naadam locali fu regolata da una serie di norme emanate dall’amministrazione della Manciuria. Nei principali luoghi di offerta di parecchi aimag (tribù) venivano lette le preghiere lamaiste dai messi di Bogd Ghegheen (lama mongolo), mentre le offerte di sostanze profumate venivano portate dai funzionari secolari a nome degli stessi governanti della Manciuria.
 
Nel 1778 l’imperatore della Manciuria emise un decreto con cui cercò di indebolire l’autorità della nobiltà locale e rafforzare il suo alleato tibetano alla guida dell’organizzazione religiosa mongola. Stabilì che il naadam nazionale diventasse una questione prettamente religiosa, come celebrazione in onore di Jebzundamba, l’incarnazione suprema della Mongolia, il Bogd Ghegheen. Il danshig (dal tibetano tang = offerta, in mongolo bat orshil, cioè il Grande Sacrificio, veniva offerto a Bodg sempre al termine dell’estate nomade (cioè in aogsto) durante un naadam che talvolta si prolungava per dieci giorni. Inizialmente i naadam danshig si celebravano una volta ogni tre anni, ma nel 1865 salì al trono l’ottavo Bogd Ghegheen e da allora si svolsero annualmente. Gli astrologi della famosa scuola Erdeneshanzadba dugan della capitale, stabilirono la data esatta per il sacrificio.
L’offerta al Bogd era veramente grandiosa. Oltre ad altri oggetti, secondo il rituale, il dono principale era un mandal, una piramide, simbolo dell’Universo Buddhista. Al centro, la mitica montagna Sumber appariva – decorata con perle, oro e madreperla – sulla massa del grano sacro posto su un vassoio d’argento.
 
Seguivano altre offerte più concrete: chili d’argento, spesso a forma di mandal, dozzine di metri di seta, migliaia di scialli rituali (khadag), armi (a difesa della fede), dozzine di cavalli, cammelli, pellicce di volpe, stivali di pelle e centinaia di pecore. 
 
I cavalli che venivano mandati ai naadam al seguito del grande sacrificio, erano gli animali migliori provenienti da ogni singolo khoshuun (territorio). Cavalli e cavalieri non venivano presentati coi loro nomi durante la gara dei cavalli, ma con quello del signore del loro feudo.
 
Mentre la corsa dei cavalli è un avvenimento riservato ai bambini (per il peso leggero richiesto), gli incontri di lotta, avvengono tra uomini maturi. Le regole e il costume particolare si sono sviluppati nel corso dei secoli. La lotta conserva i simboli e la tradizione dell’etica nomade. Da secoli il guerriero, il vincitore e il conquistatore, vengono tutti rappresentati sotto forma di uccelli rapaci, come gli inviati del sacro volere del khan. Quanti erano disposti a sottomettersi a questo volere guadagnavano la protezione del conquistatore contro ogni pericolo. Per questo i lottatori del naadam danzano la ‘danza dell’aquila’ prima e dopo il combattimento e il vincitore prende sotto ‘le proprie ali protettive’ il perdente, con un gesto simbolico.
 
La terza gara dei tradizionali ‘tre giochi maschili’ è il tiro con l’arco (num kharvakh). Dal XIII secolo in poi gli archi e le frecce si sono sempre più alleggeriti, trasformandosi da arma in attrezzo sportivo. Tuttavia, ancora oggi, vista acuta, abilità e forza vengono messe alla prova in molte discipline del naadam.
 
Nel 1924 morì il Bogd Ghegheen ed il potere passò definitivamente nelle mani del governo popolare. Da allora in poi, la data del naadam nazionale divenne l’11 luglio, giorno in cui, nel 1921, l’esercito rivoluzionario fece il suo ingresso nella capitale. Al posto della processione con gli omaggi, lavoratori zelanti sfilavano con bandiere davanti alle tribune con i capi comunisti del governo centrale. Dopo secoli, fu solo nel 1990 che il naadam fu celebrato nuovamente nello spirito dell’impero nomade di Cinghis Khaan.
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