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Racconti di viaggio: Papua Nuova Guinea, dalle Highlands a Rabaul
26/10/2016
Racconti di viaggio: Papua Nuova Guinea, dalle Highlands a Rabaul
Le Highlands
Lasciare l’Australia per volare verso la Papua Nuova Guinea è un po’ come cambiare libro:
cambia tutto
. Dietro di noi c'è l’
Australia
, con la sua barriera corallina, la percezione di essere immersi in una
natura incontaminat
a e al tempo stesso la certezza di essere accuditi da un
paese moderno;
davanti a noi ci sono le montagne centrali della Papua Nuova Guinea.
Ci torno dopo 10 anni di assenza e poco è cambiato: fino agli anni '60-70 qui era ancora possibile incrociare
guerrieri
noti per essere
cannibali
, oggi si incontrano volti sorridenti e persone ospitali. Ci raccontano che da evitare è la capitale
Port Moresby
, dove apparentemente il tasso di violenza è molto alto; ma noi siamo tra le montagne.
A
Mount Hage
n facciamo dogana accolti da un ufficiale che viene a
bordo aereo scalzo
, un po’ un
gigante buono
che viene a mettere un timbro sui nostri passaporti. Benvenuti in Papua Nuova Guinea!
La cittadina è forse l’unica cosa che è cambiata rispetto a 10 anni fa. Si ha purtroppo la percezione che si trovi nella fase più triste del passaggio da cultura primitiva a modello occidentale, diventando un
avamposto di frontiera
dove le genti locali si avvicinano per prima cosa ai costumi negativi occidentali:
plastica
e
rifiuti
ovunque,
baracche
fatiscenti e tanto
alcool
, con la violenza che ne deriva. Un vero peccato, perché basta davvero poca strada, uscendo dal centro abitato, per ritrovare quella
bellezza rurale
che apparteneva alla cultura tradizionale del posto.
Situazione simile ma in scala ridotta si ha a
Tari
, sempre nelle Highlands. Qui è possibile incontrare i famosi
Huli
, popolazione con
parrucche naturali
adornate dalle piume degli
uccelli del paradiso
, e i
dipinti facciali
particolarmente vivaci. Ormai si tratta di rappresentazioni di una tradizione limitata a cerimonie particolari, non alla vita comune; per questo è interessante venire a scoprire gli Huli durante quei grandi
festival delle maschere
che sono i
Sing Sing
, frequentati certo da molti turisti, ma ancora oggi
fatti dai locali
principalmente per i locali, con una sorta di espressione della vanità tribale.
La regione del Sepik
Per immergerci veramente in questa cultura, così lontana dalla nostra, dopo la visita alle tribù delle montagne centrali riprendiamo il volo e scendiamo verso le
pianure fluviali del nord
del Paese, nella regione del grande
fiume Sepik
e dei suoi affluenti. È proprio ai bordi del corso di un suo tributario che atterriamo su di una pista in erba.
Non ci troviamo di fronte a uno spettacolo per turisti: i tanti bambini e adulti che
escono dalla giungla
e si accalcano per venire a guardarci come se fossimo l'attrazione del giorno (per fortuna il lavoro dei
missionari
ha fatto sì che non ci vedano più come
ingrediente
principale da mettere nel pentolone…) ci fa capire di essere stati catapultati dove la cultura locale è ancora viva e autentica!
Subito è chiaro che il
fiume
è la vera
arteria comunicativa
per tutta la regione, dove del resto
non esistono strade
e, a parte il fiume, l’unico mezzo di trasporto è dato dagli
aerei
: in Papua Nuova Guinea esistono qualcosa come oltre
500 piste di atterraggio
per garantire in qualche misura una penetrazione moderna a questo mondo, e pare che esistano ancora vallate dove l’
isolamento culturale
è tuttora presente.
In barca ci trasferiamo al
lodge
dove saremo ospiti; considerato dove ci si trova, si può dire che è una struttura di ottimo livello. Ovviamente questo vale per chi lo vede con l’occhio del
viaggiatore
/
esploratore
, non certo del vacanziero, perché ci sono veramente pochi comfort da vacanza. Qui la vita gira
intorno al fiume
e a quello che il fiume può offrire; il modo migliore per scoprirla è quindi
a bordo di una barca
, con la quale navighiamo il
Karawari
e alcuni suoi affluenti.
Lungo il fiume osserviamo un passaggio senza soluzione di continuità di
piroghe scavate nei tronchi
delle piante, occasionalmente spinte da motori, per lo più dai
remi
di adulti e ragazzini che da noi sarebbero ancora accompagnati a scuola dai genitori!
Visitiamo i villaggi e ci facciamo spiegare come si viva di quello che la
palma del sago
offre.. e di altri
vegetali naturali
da combinare con i
piranha
, principale fonte di proteine nella dieta locale. Non è un errore: sono davvero piranha, purtroppo importati dal Sudamerica senza pensare ai
danni
che avrebbero arrecato all’
ecosistema locale
; di fatto, sulle piroghe locali ormai si vedono raramente altre specie di pesci.
Certamente alcune
dimostrazioni culturali
e
danze
vengono fatte ad hoc per noi, ma la percezione è che in molti casi da stranieri osservatori noi si diventi gli
osservati
, circondati da sguardi
curiosi
e
divertiti
, abitanti di mondi chissà quanto distanti. Sono giorni di immersione totale in una dimensione lontanissima dalla nostra realtà.
Stasera qui a Karawari, dal mio
bungalow
in
legno
e
foglie di palma
mi trovo ad ammirare un tramonto infuocato sulla gigantesca distesa di giungla che si apre davanti a me, con la consapevolezza che in quell’immensità verde ormai scura si sta spegnendo una giornata di piccoli villaggi dove i ritmi sono dettati dal
sole
e non dai telegiornali, e le uniche vie di comunicazione sono i corsi d’acqua. La prima strada percorribile da auto è a
8 ore di navigazione
lungo il fiume.
Ridecolliamo e indirizziamo la
prua verso est
. Lasciamo la grande pianura fluviale ricoperta di giungla e raggiungiamo la costa fino alla verticale della cittadina costiera di
Madang
; sotto di noi la giungla ha lasciato il posto a immense piantagioni di
palme da cocco
. Attraversiamo il mare seguendo una lunga teoria di
coni vulcanici
che spuntano dal mare, fino alla costa della grande isola della
Nuova Bretagna
. La seguiamo e sotto di noi i vulcani non finiscono: è palese che stiamo percorrendo quello che i documentari descrivono come l’
anello di fuoco
che circonda l’Oceano Pacifico.
In fondo in fondo alla Nuova Bretagna arriviamo a una baia davvero speciale: la
baia di Rabaul
. Dall’aria è chiaro come un tempo fosse un
mega vulcano
con la caldera
parzialmente sprofondata
in mare: fino a tutta la seconda guerra mondiale era considerata una delle
baie più profonde
del Pacifico, ancor oggi è dominata da
6 vulcani laterali
di cui
uno attivo
.
Una notte a Rabaul è sicuramente sufficiente ma vale la sosta: qui si respira la Storia, sia della
seconda guerra mondiale
sia di una
moderna Pompei
. Lo sgarrupato Hotel Rabaul non è certo il massimo in fatto di hotellerie, ma il suo bar è un vero e proprio pezzo di storia, con
cimeli bellici
della guerra del Pacifico e, sulle pareti, la storia in immagini di questo porto e delle varie
eruzioni che l’hanno distrutto
.
Ci concediamo un breve giro in macchina in quella che era la
vecchia Rabaul
, ormai una
spessa distesa di cenere lavica
a tratti ricoperta dalla vegetazione dopo l'
ultima grande eruzione del 1994
. I racconti della guida sono di un porto ricco e vivo: qui c’era un
campo da golf
da 9 buche e uno
yacht club
che accoglieva tutti i naviganti che si affacciavano su questo lato del Pacifico. Salendo sulle pendici del vulcano attivo si ha una
suggestiva vista di insieme della baia
; i più attivi possono arrivare addirittura ad
affacciarsi al margine della caldera
, ne vale davvero la pena!
Lungo la strada verso l’aeroporto di Tokua troviamo poi i
vecchi tunnel giapponesi
che servivano da nascondiglio per i
mini sommergibili
a protezione della baia. Con Rabaul finiamo la rapida visita della Papua Nuova Guinea, pronti al prossimo balzo per raggiungere le
Isole Salomone
.
Photogallery